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disponevi. Ed oh quante si dicean più cose per le quali maggior forza acquistava empietà! In udendo tal cagion di dolore le viscere si commossero del cor mio; e prima d’ardire un che, volli due e tre volte con giuramento riudirne il racconto; ma già miserabilmente credendo, allontanatomi un poco dai narranti, a pensar di te cominciai così: Qual mai furore lo mosse? Quali Eumenidi il cuore già da pietà guernito gli invasero? Egli pacifico, egli nel fondo di mansuetudine collocato, e perciò sollecito di fuggire lasciava cadere le risse: ora infiammato d’iniquità prende a difender anche le cause altrui! Oh quanto è pericoloso il perturbamento de’ miti! ira peggiore non v’è della mite! Ciò detto, alzati gli occhi al cielo, con parole e singhiozzi interrotti presi a dire così: O Pallade, della sapienza, e perciò della quiete la Diva, che cosa mai ell’è questa? Forse s’impadronì ora del tuo campo Bellona? A chi facilmente s’apparecchiava un libro, s’appresenta ora uno scudo? invece di penna si sguaina e si porge la spada? Lì dove a perpetua quiete si attingevan delizie, ora si veste corazza, si diventa robusti? il capo già chinato col libro per giovarne intelletto e memoria, ora di cimiero armato superbamente si estolle? apparisce così! ma non fu questi sin dall’infanzia ne’ tuoi focolari educato? sì certamente; or d’onde fu che giungesse, per non dir s’inoltrasse a fierezza sì grande? ch’è ben sorprendente dal favo del miele veleni aconiti uscirne! e tu Giu-