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epistola 65

pe’ conforti di Coridone, ovvero per sua opinione, egli vuol esser tenuto un egregio duca e capitano di guerra, a questo menando, per grand’argomento, ch’esso sia preposto agli altri del regno di Sicilia; quasi non conosciamo, gli antichi Campagnuoli e Pugliesi essere suti sempre uomini oziosi, ed egli essere in questo soprannome così grande, non di comune consentimento, ma solamente d’uno re giovanetto; e quello, acquistato da lui, non che in fatti d’arme o in guerra fosse il maggiore, ma perchè egli venisse al grandissimo soldo che a’ suoi predecessori era usato dare dal principe, e perchè e’ paresse nobile per soprannome così grande. Ma lasciamo questo, e a quello ch’egli abbia fatto degno di memoria vegnamo. A quante battaglie si trovò egli? quante schiere ordinò egli? quante fuggenti ne sostenne? quanti eserciti de’ nemici sconfisse? quanti n’ha menati prigione? quali rapine, quali prede, quali spoglie, quali segni militari si fece portare innanzi? quali campi de’ nemici prese? quali provincie sottomise? Dicalo egli, dicalo un altro; io niuna ne udi’. Che adunque scriverò? Perchè non temerò io di sottentrare al peso dello scrivere?

Se lui co’ Cincinnati, Curzi, Scipioni, con Epaminonda e con gli altri non mescolerò, invidioso mi diranno. Se non lo mescolerò con Marco Marcello, il quale si trovò in quaranta battaglie, quinci e quindi le bandiere spiegate, o con Giulio Cesare, che si ritrovò in cinquanta, non contando le cittadinesche, anche sarà detto invidia. Se io lo scriverò, mentirò. Non solamente è di bisogno che il capitano sia valo-


let. volg. 5