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386 | LA TESEIDE |
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Al qual poichè de’ furono venuti,
Emilia lassa cominciò piangendo;
O dolce Arcita, e’ non furon creduti
Da me tai casi, che a te venendo
Fosser gli visi da dolor premuti
Con piagnevoli voci, quali intendo:
Nè in questa guisa mi credetti entrare
Nella camera tua a dimorare.
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Assai m’è, lassa, duro a sostenere
Ciò che io veggio, che le prime tede
Al rogo tuo mi convenga tenere.
O dispietati iddii senza mercede,
Or che è questo che v’è in piacere?
Dov’è l’amore antico, ove la fede
Che solevate portare a’ mondani?
Ella n’è gita con li venti vani.
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O caro Arcita, più non posso avanti,
Prendi le fiamme da me concedute
Al rogo tuo, e’ dolorosi pianti,
Per la tua alma in loco di salute.
E mentre ch’essa ne’ dolenti canti
Stava così, da lei fur conosciute
Le voci funerali che in usanza
Erano allor per pelopea mostranza.