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362 LA TESEIDE


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E pose il viso suo su quel d’Arcita,
     Palido già per la morte vicina,
     Nè ’l toccò prima, ch’ella tramortita
     In su la faccia cadde risupina:
     Ma poi appresso si fu risentita,
     Piangendo cominciò: oimè tapina,
     Son questi i baci che io aspettava
     Da Arcita, il quale più che me amava?

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Alle nimiche mie cotal baciare,
     O dispietati iddii, sia riserbato.
     Arcita, che nel ciel esser gli pare,
     Il bianco collo teneva abbracciato,
     Dicendo: omai non credo male andare,
     Tal viso al mio ho sentito accostato:
     Qualora piace omai all’alto Giove
     Di questa vita mi tramuti altrove.

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Quivi era sì gran pianto e sì doglioso
     Di donne di signori e d’altra gente,
     Che vedean questo, onde ciascun pietoso
     Era assai più che distretto parente:
     Che non si crede sì fosse noioso
     Allor che Febo si mostrò dolente,
     Tornando addietro nel tempo che Atreo
     Mangiar i figli al suo Tieste feo.