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LIBRO NONO 321


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Ne’ colli lor non sonavan catene,
     Perocchè Arcita del tutto pregando
     Le tolse via: ond’essi per Atene
     Disciolti a picciol passo innanzi andando
     Al carro, tristi di sì fatte pene,
     In questo loco ed ora in quel restando,
     Quasi scherniti tutti sì temeano
     Per gli atti delle genti che vedeano.

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In cotal guisa con alto romore
     D’infiniti strumenti, e di gridare
     Ch’e’ popoli facien lì per onore
     Del grande Arcita e del suo operare,
     Giunsono al gran palagio del signore,
     Ed a lor piacque quivi dismontare;
     E di fuor fatta restar la più gente,
     Gir nella real sala pianamente.

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Sovr’un gran letto quivi fatto allora
     Posato fu il faticato Arcita,
     Allato a cui Ippolita dimora,
     Bella vie più che gemma margherita,
     E di conforto sovente il rincora
     Con ornata parola e con ardita:
     E ’l simil fa Emilia sua sorella
     Con altre molte, ciascheduna bella.


bocc. la teseide 21