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LIBRO OTTAVO 269


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Ma qual la leonessa negl’ircani
     Boschi per gli figliuoi che nel covile
     Non trova, sè con movimenti insani,
     Messa in oblio la sua ira gentile,
     Mugghiando corre per monti e per piani,
     Nè mai la fa, se non affanno, umìle:
     Cotal correndo Diomede andava,
     Vedendo Ulisse presso che si stava.

27


Nïuno aveva resistenza a lui;
     E’ ferì Crisso, e’ ferì Sicheo,
     Ed Alcion Sicionio, e con lui
     Molto aspramente l’Epidaurio Argeo
     Nè nulla aveva paura d’altrui;
     E ’n quello andare il buon Jolao Ianteo
     Preso da Niso, e da Almeone
     Atati, lui ritenner per prigione.

28


Poi ritornati valorosamente
     Alla battaglia, Cefalo scontraro,
     E lui ferir maravigliosamente:
     Cefalo fe’ a tal colpo riparo,
     Ma sua prodezza non valse niente:
     Alcidamas e lui insiem pigliaro,
     E dello stormo gli mandaron fuori;
     Sicchè non furo il dì più feditori.