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LIBRO OTTAVO | 261 |
2
Ora la Musa, a cui più di me cale,
Per me versi componga, o per me canti,
E noto faccia il giuoco marzïale
Fieramente operato da’ due amanti
Con compagnia ciascun di schiera eguale
Di cavalieri valorosi e atanti:
Ch’io per me non varria a far sentire
Il duro scontro e l’amaro seguire.
3
Se il romore del gonfiato mare
Da fieri venti forte stimolato,
E quanto mai ne fanno nel pigliare
Porto li marinar fosse adunato,
E quello insieme che si dove’ fare
Quando a Pompeo Cesare assembrato
Si fu in Tassaglia, non fora d’assai,
Quanto fu quel, che non s’udi più mai.
4
Nè saria stato, se giunto vi fosse
Quel che Lipari fe’ o Mongibello,
O Stromboli o Vulcan quando più cosse:
O quando Giove più cruccioso il fello
Tifeo di spavento più percosse
Tonando forte: omai quanto fu quello
Pensil ciascun che ha fiore d’intelletto,
Forse ch’el sentirà qual’io ho detto.