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LIBRO SETTIMO 237


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O Dea, a cui la terra e ’l cielo e ’l mare,
     E’ regni di Pluton son manifesti,
     Qualor ti piace di que’ visitare,
     Prendi gli miei olocausti modesti
     In quella forma che io gli so fare:
     Ben so se’ degna di maggior che questi;
     Ma qui al più innanzi non sapere,
     Supplisca, o Dea, lo mio buon volere.

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E questo detto, tacque: tanto ch’ella
     Vide ogni parte degli roghi accesa:
     Poi dinanzi a Diana la donzella
     S’inginocchiò, e da pietade offesa,
     Di lagrime bagnò la faccia bella,
     La quale in ver la Dea tenea distesa:
     Quivi chinata stette assai pensosa,
     Poi la dirizzò tutta lagrimosa.

79


E cominciò con rotta voce a dire;
     O casta Dea, de’ boschi lustratrice,
     La qual ti fai a vergini seguire,
     E se’ dell’ire tue vengiatrice,
     E siccome Atteon potè sentire
     Allora ch’el più giovan che felice,
     Della tua ira, ma non del tuo nervo
     Percosso, lasso! si mutò in cervo.