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LIBRO SETTIMO | 227 |
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Il modo trova tu, ch’io non mi curo
O ch’io sia vinto, o ch’io sia vincitore:
Me poco curo, s’io non son sicuro
Di possedere il disio del mio core:
Però, o Dea, quel che t’è men duro
Piglia, e sì fa’ che io ne sia signore:
Fallo, ch’i’ te ne prego, o Citerea,
E ciò non mi negare, o somma Iddea.
48
Li templi tuoi saran sempre onorati
Da me, siccome degni fermamente,
E di mortine spesso incoronati:
Ed ogni tuo altar farò lucente
Di fuoco, e sacrificii fien donati
Quali a tal Dea si denno certamente:
E sempre il nome tuo per eccellenza
Più ch’altro Iddio avrò in reverenza.
49
E se t’è grave ciò ch’io ti dimando
Far, fa’ che tu nel teatro la spada
Primaia prendi, ed al mio cor forando,
Costrigni che lo spino fuor ne vada
Con ogni vita il campo insanguinando;
Chè cotal morte troppo più m’aggrada,
Che non farebbe senza lei la vita,
Vedendola non mia, ma sì d’Arcita.