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202 LA TESEIDE


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Di dietro a cui discese Radamante,
     Fratel di lui, e Sarpedone appresso,
     E le lor genti ancora tutte quante:
     Quivi era un carro orrevole per esso,
     Sopra del qual montò, e messo avante
     La gente sua, non però molto cesso,
     Inverso Atene prese il cammin tosto,
     Siccome avea nella mente disposto.

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Il manco lato uno scudo gli armava,
     Nel qual vedeansi i regni di Nereo;
     E come Giove in que’ toro notava,
     Carico di Europa, onde nasceo:
     E i liti v’eran dove e’ la posava
     Soavemente nel regno Ditteo;
     E similmente la casside bella
     Tutta lucea della paterna stella.

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Erano i campi, gli argini e le strade,
     Le porti de’ palagi e li balconi,
     Comecchè fosson ed ispesse o rade,
     Piene di donne tutte e di baroni,
     Per veder di Minos la dignitade,
     E’ vecchi antichi e’ giovani garzoni
     Tutti venuti v’erano a mirare
     Il gran baron nella lor terra entrare,