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LIBRO QUINTO 171


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Ma siemi il ciel, che queste cose vede,
     Ver testimonio, e Apollo surgente,
     E i Fauni e le Driade (e si crede
     Che in questo loco alcun ne sia presente),
     E le stelle ch’io veggio faccian fede
     Com’io son del combattere dolente,
     E Priàpo con esse, li cui prati
     Ci apparecchiam di fare insanguinati,

63


Non mi si possa mai rimproverare
     Ch’io sia cagion di battaglia con teco;
     Tu mossa l’hai, e tu pur la vuo’ fare,
     E pace schifi di voler con meco:
     Sallosi Iddio ch’i’ non porria lasciare
     Mai d’amar quella ch’ha il mio cor seco,
     Ma così amando volentier vorrei
     Con teco pace, e presto a ciò sarei.

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Dette queste parole, nulla cosa
     Rispose Palemon, ma innanzi al petto
     Lo scudo si recò, quindi l’ascosa
     Spada del foder trasse, e ’l viso eretto
     In ver Penteo con voce orgogliosa
     Disse: or si parrà chi più diletto
     Avrà d’amare Emilia; a cui Penteo:
     Tu di’ il vero; e in ver di lui si feo.