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LIBRO QUINTO 165


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Però t’acconcia come me’ ti piace
     Dell’armi omai, e tua ragion difendi,
     Che di tal guerra non sarà mai pace,
     Poi quel di ch’io ti prego mi contendi:
     E ’l core in corpo tutto mi si sface,
     Perchè tu peni, e del campo non prendi
     Contra di me, che vincere o morire
     Per la mia donna porto nel disire.

45


A cui Penteo disse: o cavaliere,
     Perchè vuoi porre te e me in periglio
     Forse di morte? e’ non ti fa mestiere:
     Deh noi possiam pigliar miglior consiglio;
     Che ciascun si procacci a suo potere
     D’aver l’amor del grazioso giglio,
     Ed a cui lo concede la fortuna,
     Colui se l’abbia senza briga alcuna.

46


Tu sai che io son quiritta sbandito,
     E tu hai rotta a Teseo la prigione:
     Però se ’l nostro affar fosse sentito,
     Non ci bisogneria far più ragione
     D’Emilia bella col viso chiarito,
     Ma saremmo di morte a condizione;
     E però piano amiamo intramendui,
     Infin che faccia Giove altro di nui.