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160 LA TESEIDE


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Cheto era il tempo, e la notte le stelle
     Tutte mostrava ancora per lo cielo:
     E ’l gran Chiron Aschiro avea con quelle
     Che vanno seco il pianeta che ’l gelo
     Conforta, il quale le sue corna belle
     Coperte aveva col lucente velo;
     E quasi piena ov’è Zenit facea,
     E ’l ciel nel mezzo cerchio rilucea.

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Inver la qual, poi l’ebbe rimirata
     Alquanto, Palemon cominciò a dire:
     O di Latona prole inargentata,
     Ch’or meni i passi miei senza fallire,
     Colla tua luce meco accompagnata,
     Piacciati alquanto li miei preghi udire;
     E come in questo se’ ver me pietosa,
     Così mi sii nell’altro grazïosa.

31


Io vado tratto da quella fortezza
     D’amor che trasse Pluto a innamorarsi
     Sopra Tifeo della tua gran bellezza,
     Allor che tu ne’ prati con iscarsi
     Passi ten givi, alla tua giovinezza
     Cogliendo fiori per li campi sparsi;
     Acciocchè per battaglia possa avere
     L’amor di quella sol che m’è in calere.