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LIBRO QUARTO | 149 |
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Così di sopra dall’erbe e da’ fiori
Penteo la sua fortuna biasimava
Un bel mattino al venir degli albori;
Allorchè per ventura indi passava
Panfilo, ch’era l’un de’ servidori
Di Palemone, e intanto ascoltava
Dello scudiere il gran rammarichio
Di sua fortuna, ed anche del disio.
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E fra sè stesso si fu ricordato
Chi fosse Arcita, ed udì che Penteo
Nel suo rammaricar s’era chiamato,
Per che tantosto lo riconosceo;
E molto seco s’è maravigliato,
Com’egli avea la grazia di Teseo:
Non disse nulla, ma ver la prigione
Se ne tornò, per dirlo a Palemone.
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Ma il giovane Penteo di ciò ignorante,
Come fu ora in Atene sen venne:
E con allegro viso e con festante
Al luogo ov’era il suo signor pervenne,
Col qual di molte cose ragionante,
Siccome egli era usato si ritenne:
Poi partito da lui gì a sapere
S’Emilia un poco potesse vedere.