Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
146 | LA TESEIDE |
80
O misera Fortuna, de’ viventi
Quanto dai moti spessi alle tue cose!
E come abbassi li sangui e le genti,
E quando vuogli ancora graziose
Le vilissime fai, e non consenti
Di leggi avere in sè maravigliose:
Siccome uom vede in me, che son verace
Esempio del girar che fai fallace.
81
Di real sangue, lasso, generato
Venni nel mondo, e d’ogni pena ostello,
E con gran cura in ricchezze allevato
Nella città di Bacco, tapinello
Vissi: e con gioia venni in grande stato,
Senza pensar al tuo operar fello:
Poi per altrui peccato, e non per mio,
La gioia e il regno e ’l sangue mio perio.
82
E fui del campo per morto doglioso
Ferito, tolto e recato a Teseo,
Il qual siccome signor poderoso,
Come gli piacque imprigionar mi feo:
Quivi, per farmi peggio, l’amoroso
Dardo mi entrò nel cor focoso e reo
Per la bellezza d’Emilia piacente,
Che mai di me non si curò niente.