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LIBRO QUARTO | 127 |
23
Quivi sovente con seco piangea
La sua fortuna e la sua trista vita,
E spesse volte con sospir dicea:
O doglioso più ch’altro e tristo Arcita!
Se’ fatto fante, là dove solea
Esser tua casa di fanti fornita:
Così fortuna insieme e povertate
T’ha concio, e il voler tua libertate.
24
Per liber esser, più servo che mai
Se’ divenuto, misero, dolente:
A real sangue che vitupero hai
Sed e’ mi conoscesse questa gente!
Certo per mio peccar nol meritai,
Ma di Creonte la spietata mente
Di questo, lasso a me, cagione è stato
Ed ancor dello stare impregionato.
25
Così, senza nell’animo riposo
Aver giammai, in doglia sempre stava;
E l’essere già stato glorïoso
Vie più che gli altri danni il tormentava:
E vorria innanzi sempre bisognoso
Essere stato, e ’n vita trista e prava,
Che aver avuto tal fiata bene,
Ed ora sostener gravose pene.