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vadano adorne di tanto nome. Ridestatosi col cadere dello scorso secolo l’amore per lo studio degli antichi classici nostri, una critica più ragionata e sottile ne facilitò la pratica nel secolo in cui siamo con accurate edizioni, benchè io sia lungi dall’affermare che quel molto che è stato fatto non risenta forse di troppo dei vecchi pregiudizii e dei nuovi. La mania di riprodurre nelle stampe le storpiature e gli errori degli antichi codici, fa un singolar contrasto con il condannabile principio di coloro che vorrebbero che le antiche scritture fossero riprodotte con l’acconciatura elegante dello scriver moderno, sostituendo cioè alle antiche voci e modi di dire fuori d’uso, le voci e le forme dell’odierna scrittura.

Io stimo che non siavi proprietà più legittima delle pruduzioni d’ingegno, ed esser perciò reprensibile chiunque attenti all’opere altrui, riproducendole espressamente alterate dal modo col quale furon dettate dal suo autore. E se questo diritto vien reclamato dagli scrittori viventi, con molto maggior ragione dovrebbesi rispettare nelle scritture degli antichi, e principalmente in quelle che sono fondamento e norma di nostra lingua, unico comun patrimonio della nostra bella penisola.

È tempo omai che gli editori degli antichi classici si convincano, che il più retto e vero principio da tenersi nelle nuove ristampe è quello che ha per unico scopo di riprodurre l’opera altrui nella forma originale con la quale fu dettata, consultando sempre a preferenza i manoscritti che più si approssimano al tempo in cui fiorì lo scrittore, e voler piuttosto con-