Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo III, 1832.djvu/26

18 COMENTO DEL BOCCACCI

ser Farinata, ma tanto che dal mento in su si vedea,

Credo, che s’era inginocchion levata,

e così dovea essere, poichè più non se ne vedea.

D’intorno mi guardò, come talento,

cioè volontà,

Avesse di veder s’altri era meco;
Ma poi che il sospicciar fu tutto spento,

cioè poichè vide che io era solo,

Piangendo disse: se per questo cieco

Carcere, dell’inferno, il quale meritamente chiama carcere, perciocchè alcuno che v’entri mai uscir non ne puote: e chiamal cieco, non perchè cieco sia, perciocchè il luogo non ha attitudine niuna di poter vedere nè d’essere cieco, ma perciocchè ha a far cieco chi v’entra, in quanto egli è tenebroso, e ne’ luoghi tenebrosi non si può veder lume, vai, per altezza d’ingegno, avendo per quella saputo trovar via e modo, per lo quale senza ricevere offesa, o doverci rimanere, tu ci vai,

Mio figlio ov’è, perche non è el teco?

quasi voglia dire, conciosiacosachè egli sia così di maraviglioso ingegno dotato come sia tu:

Ed io a lui: da me stesso non vegno:

cioè per l’altezza d’ingegno che in me sia: Colui che attende là, e mostrò Virgilio, per qui mi mena, cioè per questo luogo, Forse cui Guido vostro, figliuolo, ebbe a disdegno. Le sue parole, cioè se tu vai per altezza d’ingegno, come non è mio figlio teco? e ’l modo della pena, cioè vederlo dannato