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SOPRA DANTE 165

accidente fatto trascorrere altrove, e quella essere rimasa disutile e non atta all’uso umano. O vendetta di Dio. Qui comincia la seconda parte del presente canto, nella quale poichè l’autore ha descritta la qualità del luogo nel quale pervenne, dimostra sè aver vedute greggi d’anime dannate, e dimostra similmente la pena loro: dice adunque, O vendetta di Dio. Questo vocabolo vendetta usa impropriamente l’autore, siccome molti altri fanno, perciocchè vendetta propriamente è quella che gli uomini desiderano d’alcuna ingiuria, la quale hanno o par loro avere da alcun ricevuta; il quale desiderio non può cadere in Dio; perciocchè Iddio, come altra volta è stato detto, è una essenza perfettissima, stabile ed eterna, e perciò in essa non può alcuna passione aver luogo: ma noi ragioniam di lui come noi facciamo di noi medesimi: e assai son di quegli, che scioccamente quello stiman di lui, che di sè medesimi fanno cioè, che egli s’adiri, che egli s’accenda in furore, che egli si vendichi, ed egli non è così: è il vero che le nostre non buone operazioni meritano d’esser punite, alla punizion delle quali insurge la sua giustizia; e questa di sua natura, non come commossa da alcuna passione, secondo i meriti retribuisce a ciascuno; e perciò se per le sue malvage opere ad alcuno avvien men che bene, noi diciamo ciò essere la vendetta di Dio, la quale propriamente parlando è l’operazione della divina giustizia: vuolsi adunque questo vocabolo vendetta intendere in questo luogo giustizia di Dio, quanto tu dei

Esser temuta da ciascun che legge,