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SOPRA DANTE 141

ne erronea, e ciò non fa senza cagione; ma il fa volendo con questa opinione ritenr coloro che l’udiranno dal detestabile peccato della disperazione; perciocchè assai volte avviene, gli uomini più per paura della pena che per amor della virtù guardarsi dalle cose scellerate. È il vero, che ae a’ poeti gentili già conceduto fosse, non pare che la religion cristiana permetta ad alcun poeta cristiano, nè in sua persona nè in altrui, raccontare o far raccontare, assertive, alcuna erronea cosa, e che contraria sia alla cattolica verità, e però non par qui assai essere scusato l’autore per aver fatto ad uno spirito dannato raccontar questo errore. Ma a questo si può così rispondere, acciocchè si conosca l’autore in questo non avere errato: dobbiamo adunque saper esser due maniere di pena, nelle quali, o nell’una delle quali, la giustizia di Dio condanna coloro che male hanno adoperato; e chiamasi l’una delle maniere di queste pene, pena illativa, e l’altra pena privativa: la pena illativa si pone nella propria persona di colui che ha peccato, siccome è tagliarsi alcun membro o farlo d’alcuna spezie di morte morire: la pena privativa è quella, la quale s’impone nelle cose esteriori di colui il quale ha peccato, siccome nelle sue sustanze, negli onori, negli stati, nella cittadinanza, privandolo d’alcuna di queste, o di parte d’alcuna, o di tutte; e però si può dir qui, perciocchè le leggi temporali non hanno in alcuna cosa potuto punire quegli che sè medesimi uccidono, perciocchè il corpo morto non può ricever pena, e quantunque esse voglian che i corpi così uccisi sieno gittati a divorare alle fiere, questa non è