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SOPRA DANTE 127

Ciò e ha veduto, con lo schiantare il ramucello, pur con la mia rima, cioè con le parole mie sole: e vuolsi questa lettera cosí ordinare, Il duca mio rispose: o anima lesa, se egli avesse prima potuto pur con la mia rima credere ciò che ha veduto,

Non avrebbe egli in te la man distesa,

a cogliere il ramucello: Ma la cosa incredibile, cioè che di voi uscissero i guai i quali esso sentiva, mi fece

Indurlo ad ovra, ch’a me stesso pesa,

cioè a schiantare quel ramo dalla tua pianta.

Ma digli chi tu fosti, sì che in vece,

cioè in luogo, D’alcuna ammenda, all’offesa la qual fatta t’ha, tua fama rinfreschi, cioè rinnuovi, col dire alcuna cosa laudevole di te,

Nel mondo su, dove tornar gli lece,

cioè è lecito, siccome ad uomo che ancora vive, e non è dannato. E ’l tronco: sì. Qui comincia la settima parte della seconda principale di questo canto, nella quale lo spirito dice chi egli è, e però comincia, E ’l tronco: sì col dolce dir, cioè con la soavità delle tue parole, m’adeschi, cioè mi pigli, e spezialmente in quanto m’imprometti di rinfrescare la fama mia nel mondo, Ch’io non posso tacere, che io non ti manifesti quello di che tu mi domandi; e però, e voi non gravi, cioè non vi sia noioso,

Perch’io un poco a ragionar m’inveschi,

cioè mi distenda, mostrandovi quello perchè meritamente potrà rinfrescare la fama mia.

Io son colui che tenni ambo le chiavi.