Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo III, 1832.djvu/128

120 COMENTO DEL BOCCACCI

due ha d’oscure e pericolose selve e solitudini, e massimamente sopra un braccio d’Appennino, il quale si stende verso il mezzodì insino nel mare Tireno, il quale i moderni chiamano il monte Argentale, nel quale appare che già in assai parti abitato fosse, ove del tutto è oggi quasi abbandonato: e non solamente in questo monte, ma per le pianure tra’ due predetti termini poste ha selve antiche e spaventevoli, nelle quali dice l’autore non essere sì aspri sterpi, perciocchè sono spinosi come sono i pruni, e altre piante ancora più pericolose ch’e’ pruni; e i due termini tra’ quali dice essere queste selve così orribili sono Cecina e Corneto. È Cecina un fiume di non gran fatto, il quale corre a pie o vicino di Volterra, dal quale pare si cominci quella parte di Maremma che più è salvatica; e l’altro è Corneto, il quale è un castello alla marina, non molte miglia lontano a Viterbo, il quale alcuni credono che già fosse chiamato Corito, e fosse la città del padre di Dardano re di Troia. Appresso mostrata l’una cosa, per la quale ne vuol dare ad intendere il bosco, nel quale entrato è, essere oscuro e malagevole, ne mostra l’altra, quella descrivendo dalla qualità degli uccelli che in esso fanno i lor nidi, e dice, Quivi, cioè in quel bosco, le brutte Arpie lor nido fanno, e acciocchè d’altra spezie d’uccelli non intendessimo, ne scrive di quali Arpie voglia dire, e dice esser di quelle,

Che cacciar delle Strofade i Troiani
Con tristo annunzio di futuro danno