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SOPRA DANTE 29

ter forte le minacce del re, e non ardirono di dire a Didone domandantene, ciò che dal re avevano avuto, ma dissero che il re desiderava di lasciare la vita e i costumi barbari, e d’apprendere quegli de’ Fenici, perciò voleva alquanti di loro che in ciò l’ammaestrassero: e dove questi non avesse, minacciava di muover guerra loro e disfare la città. E però, conciofossecosachè essi non sapessono chi di loro ad esser con lui andar si volesse, temevan forte, non quello avvenisse che il re minacciava. Non s’accorse la reina dell’astuzia, la quale usavano coloro che le parlavano, e però rivolta a loro disse: o nobili cittadini, che miseria di cuore è la vostra? Non sapete voi che noi nasciamo al padre e alla patria? nè si può dirittamente dire cittadino colui, il quale non che altro pericolo, ma ancora se il bisogno il richiede, non si dispone con grande animo alla morte per la salute della patria? Andate adunque, e lietamente con piccolo pericolo di voi rimovete il minacciato incendio dalla vostra città. Come i nobili uomini udirono questa riprensione fatta loro dalla reina, così parve loro avere da lei ottenuto quello che essi desideravano; e iscoperserle la verità di ciò che il re domandato avea. La qual cosa, come la reina ebbe udita così s’accorse, sè medesima avere contro a sè data la sentenza e approvato il maritaggio; e seco medesima si dolse, nè ardi d’opporsi allo inganno che i suoi uomini aveano usato. Ma subitamente seco prese quel consiglio che all’onestà della sua pudicizia le parve di bisogno, e rispose, che se termine le fosse dato, che ella andrebbe volentieri al marito. Ed essendole certo termi-