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270 COMENTO DEL BOCCACCI

chiamiamo fortuna, e da lei essere ogni cosa la quale a’ mortali avviene guidata e menata: ma perciocchè della favola non s’avrebbe quello che per bisogno fa, se il senso allegorico non si ponesse, verrò a quello. Altra volta è stato mostrato, il causato potersi dir figliuolo del causante; e perocchè queste fate sono dalla divina mente causate, dir si possono figliuole di Dio, comechè Demogorgone, di cui Teodonzio dice che figliuole sono, non sia quello iddio del quale io intendo, quantunque secondo la vana opinione, e dannevole d’alcuni antichi, fosse Iddio padre di tutti gli altri iddii. E che esse fossero figliuole d’Erebo e della Notte, come a Tullio piace, si dee così intendere. Ed Erebo, come altra volta è detto, secondo la verità, è un luogo della terra profondissimo e nascoso, la qual profondità è qui da intendere la profondità della divina mente, la quale è tanta e sì nascosa, che occhio mortale non può ad essa trapassare; e concioslacosachè la divina mente, siccome sè medesima vedente, e intendente quello che far dovea, e quindi queste tre fate, con la natura delle cose attualmente producesse, assai bene possiam dire, loro essere nate del profondissimo e segreto luogo della divina mente. Che esse fossero figliuole della Notte, si può dire così essere quanto è a noi; perciocchè ciascuna cosa alla quale l’acume del nostro vedere non può trapassare, diciamo essere oscura e simile alla notte; e così non potendo trapassare dentro alle segrete cose del divino intelletto, essendo offuscati dalla mortal caligine, quantunque esse sieno in sè splendidissime, a quelle attribuiamo il vizio della debolezza del no-