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262 COMENTO DEL BOCCACCI

in quanto disusati a così fatto stile. E già venia. Qui rientra l’autore nella materia principale, e comincia qui la quarta parte di questo canto, nella quale descrive l’autore la venuta d’un angelo, per opera del quale scrive essere stata la porta della città aperta, e dice così, E già venia, avendomi egli chiusi gli occhi, su per le torbid’onde, di Stige, Un fracasso, cioè un rompimento, d’un suon pien di spavento,

Per cui tremavano amendue le sponde,

della palude; ed era questo fracasso,

Non altrimenti fatto, che d’un vento,

impetuoso, da sè, come è il turbo o la bufera, dei quali è detto di sopra, dove vi dimostrai, secondo Aristotile, come questi venti impetuosi si generino, i quali vi dissi essere due, cioè typhon, e enephias, e però qui reiterare non bisogna; ed era questo vento sonoro, per gli avversi ardori, cioè vapori o esalazioni, i quali surgono della terra; i quali chiama ardori, perciocchè sono caldi e secchi; e se così non fossero, non farebbon suono: ma era questo suono in tanto pieno di spavento, in quanto si movea velocissimo con l’impeto del vento, Che fier, questo vento, la selva, alla quale s’abbatte, le cui frondi percosse, il fanno ancora più sonoro, senza alcun rattento, e oltre a ciò per la forza del suo impeto, Li rami, degli alberi della selva, schianta, abbatte, e porta fuori, della selva talvolta: e oltre a questo, Dinanzi, cioè in quella parte che procede, polveroso va superbo, cioè rilevato, E fa fuggir le fiere, che nella selva sono, e li pastori, con le