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SOPRA DANTE 195

tori, sono talvolta i cherici, cioè i gran prelati; perciocchè essi il più, senza avere alcun riguardo a Dio, nè al popolo loro commesso, o alla qualità di colui in cui conferiscono, concedono, anzi gittano gli arcivescovadi, i vescovadi, le badie, e l’altre prelature e beneficii dì santa chiesa ad idioti, ebriachi, manicatori, furiosi, d’ogni scelleratezza viziosi e cattivi uomini: di che il popolo cristiano non solamente non è all’opportunità sovvenuto, ma dalle miserie e cattività di così fatti pastori trasviato all’inferno, dietro al malo esempio. Piace oltre alle dette cose ad Aristotile, questo vizio della prodigalità essere assai men dannevole che quello dell’avarizia, perciocchè non ostante che dell’avarizia nè l’avaro nè alcun altro abbia alcuno bene, dove della prodigalità pur n’hanno bene alcuni, quantunque mal degni; pare la prodigalità non debba potersi accrescere nè divenir maggiore, perciocchè il prodigo continuamente diminuisce le sostanze sue, senza le quali la prodigalità non si può mandare ad esecuzione, e diminuendosi, pare di necessità si debba diminuire il vizio il che dell’avarizia non avviene; perocchè l’avaro continuamente accresce il suo, e accrescendolo accresce la cupidigia dell’aver più. Appresso il vizio, il quale si può in alcuna maniera curare, pare esser minore che quello che curar non si può, e la prodigalità si può curare, il che non si può l’avarizia; e però pare la prodigalità esser minor vizio che l’avarizia: il che quantunque per una ragione di sopra mostrato sia, si può ancora mostrar con due allre, cioè che la prodigalità si possa curare, delle quali ra-