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SOPRA DANTE 147

sente di questo canto. Questo vizio dice l’autore usare il suo soperchio, cioè il desiderare più che non bisogna, e tenere dove non si dee tenere, ne’ cherici, ne’ quali tutti intende per queste due maggiori qualità nominate: la qual cosa se vera è o nò, è tutto il dì negli occhi di ciascuno, e perciò non bisogna che io qui ne faccia molte parole. E avendo qui l’autore dichiarato qual sia in parte quel vizio che in questo quarto cerchio si punisca, cioè avarizia, vuol che s’intenda per le parole dette di sopra,

Ove colpa contraria gli dispaia,

con questo vizio insieme punircisi l’opposito dell’avarizia, cioè la prodigalità, la quale è il superiore estremo della liberalità: e come l’avarizia consiste in tenere stretto quello che spendere bene e dar si dovrebbe, così la prodigalità è in coloro i quali danno dove, e quando, e come non si conviene; benchè poco appresso l’autore alquanto più apertamente dimostri, sè intender qui punirsi questi due vizii.

Ed io: maestro, tra questi cotali,

che tu mi di’ che furon cherici, e ancora tra gli altri,

Dovre’io ben riconoscere alcuni,

perciocchè furono uomini di grande autorità, e molto conosciuti, come noi sappiamo che sono i papi, e i cardinali, e i signori e gli altri che in questi due peccati peccano: o vogliam dire, perciocchè l’autor peccò in avarizia, e l’un vizioso conosce l’altro, Che furo, vivendo, immondi, cioè brutti e macolati, di cotesti mali, cioè d’avarizia e di prodigalità . Ed egli a me: vano, cioè superfluo, pensiero aduni,