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SOPRA DANTE 121

ghi riposti delle lor case non passino gli occhi della divina vendetta, con meco insieme e con gli altri s’avveggano e arrossino della disonestà la quale usano. Intorno a questo peccato, non quanto si converrebbe, ma pure alcuna cosa ne dirò. È adunque in tanto moltiplicato e cresciuto appo noi, per quel che a me ne paia, l’eccesso della gola, che quasi alcuno atto non ci si fa, nè nelle cose pubbliche nè nelle private, che a mangiare o a bere non riesca. In questo i denari pubblici sono dagli uficiali pubblici trangugiati, 1’estorsioni dell’arti, e ne’ sindacati il mobile de’ debitori dovuto alle vedove e a’ pupilli; le limosine lasciate a’ poveri e alle fraternite, l’esecuzioni testamentarie, le quistioni arbitrarie, e a qualunque altra pietosa cosa, non solamente i laici, ma i religiosi divorano. E questo miserabile atto non ci si fa come tra cittadino e cittadino far si soeca, anzi è tanto d’ogni convenevolezza trapassato il segno, che gli apparati reali, le mense pontificiali, gli splendori imperiali son da noi stati lasciati a dietro; nè ad alcuna quantunque grande spesa, quantunque disutile, quantunque superflua sia si riguarda, ogni modo, ogni misura, ogni convenevolezza è pretermessa. Vegnono oggi ne’ nostri conviti le confezioni oltremarine, le cacciagioni transalpine, i pesci marini non d’una ma di molte maniere; e son di quegli che, senza vergogna, d’oro velano il color delle carni, con vigilante cura e con industrioso artificio cotte. Lascio stare gl’intramessi, il numero delle vivande, i savori di sapori e di colori diversissimi, e le importabili some de’ ta-