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SOPRA DANTE | 307 |
mi aciem, aspectu oculorum arbitrabatur; et cum alii persaepe, quod ante pedes esset non viderent, ille infinitatem omnem pervagabatur, ut nulla in extremitate consisteret. Diogene.
Diogene cui figliuol fosse, o di qual città, non mi ricorda aver letto, ma lui essere stato solenne filosofo, e uditore di Anassimandro, molti il testimoniano: e similmente lui essere rimaso di ricchissimo padre erede. Il quale come la verità filosofica cominciò a conoscere, così tutte le sue gran ricchezze donò agli amici, senza altra cosa serbarsi che un bastone per sostegno della sua vecchiezza, e una scodella per poter bere con essa: la qual poco tempo appresso gittò via, veggendo un fanciullo bere con mano ad una fonte. E così ogni cosa donata, primieramente cominciò ad abitare sotto i portici delle case e de’ templi: poi trovato un doglio di terra abitò in quello: e diceva che esso meglio che alcuno altro abitava, perciocchè egli aveva una casa volubile, la quale niuno altro Ateniese aveva: e quella nel tempo estivo e ’l caldo volgeva a tramontana, e così avea l’aere fresco senza punto di sole; e il verno il volgeva a mezzo dì, e così aveva tutto il dì i raggi del sole che il riscaldavano. Fu negli studii continuo, e sollecito dimostratore agli uditor suoi. Tenne una opinione istrana dagli altri filosofi cioè, che ogni cosa onesta si doveva fare in pubblico; ed eziandio i congiugnimenti de’ matrimonii, perciocchè erano onesti, doversi fare nelle piazze e nelle vie. Il quale perchè atto di cani pareva, fu cognominato Cinico, e principe della setta de’ Cinici. Di costui si raccontano