Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo I, 1831.djvu/319


SOPRA DANTE 299

Io non ho alcuna cosa la quale io possa assai degna donare a costoro che a me hanno donato, ma io ho da potere rendere a te guiderdone del dono che fatto m’hai, e quello sono io medesimo; e così mi ti do; e perciò quanto tu vuogli che io abbia te per mio, tanto fa’ che tu abbi me per tuo. Fu di sua natura pazientissimo, e con egual’animo portò le cose liete e le avverse: in tanto che molti voglion dire non essergli stato mai veduto più che un viso: il che maravigliosamente mostrò vivendo, e sostenendo i fieri costumi dell’una delle due mogli che avea chiamata Santippe; la quale senza interporre, il di e la notte egualmente, con perturbazioni e con romori era da lei stimolato: la qual tanto più nella sua ira s’accendeva, quanto lui più paziente vedeva. Ed essendo alcuna volta stalo addomandato da Alcibiade, nobilissimo giovane d’Atene, secondochè scrive A. Gellio in libro ii. Noctium Atticarum, perchè egli non la mandava via, conciofossecosachè per la legge lecito gli fosse, rispose che per la continuazione dell’ingiurie dimestiche fattegli da Santippe, egli aveva apparato a sofferire con non turbato animo le disoneste cose, le quali egli vedeva e udiva di fuori. Oltre a questo, tenendosi Santippe ingiuriata da lui, un dì preso luogo e tempo, dalla finestra della casa li versò sopra la testa un vaso d’acqua putrida e brutta, il quale sapendo donde venuto era, rasciuttasi la testa, null’altra cosa disse: io sapeva bene che dopo tanti tuoni dovea piovere. Furono le sue risposte di mirabile sentimento. Era in Atene un giovane uomo dipintore, assai conosciuto, il quale subitamente di-