servar quel libro fu deputata. Fu Omero nel mangiare e nel bere moderatissimo, e non solamente fu da breve e poco sonno, ma quello prese con gran disagio; perciocchè, o povertà o astinenza che ne fosse cagione, il suo dormire era in su un pezzo di rete di funi, alquanto sospeso da terra, senza alcuni altri panni. Fu oltre a ciò poverissimo tanto, che essendo cieco, non aveva di che potesse dare le spese ad un fanciullo che il guidasse per la via, quando in parte alcuna andar volesse: e la sua povertà era volontaria, perciocchè delle temporali sustanze niente si curava. Fu di piccola statura, con poca barba e con pochi capelli: di mansueto animo e d’onesta vita, e di poche parole. Fu oltre a ciò alcuna volta fieramente infestato dalla fortuna, e tra l’altre essendo in Atene, ed avendo parte della sua Iliade recitata, il vollero gli Ateniesi lapidare; perciocchè in essa, poeticamente parlando, aveva scritto gl’iddii l’un contro all’altro aver combattuto; non sentendo gli Ateniesi ancora quali fossero i velamenti poetici, nè quello che per quelle battaglie degl’iddii Omero s’intendesse: e per questo credendosi lui esser pazzo, il vollero uccidere: e se stato non fosse un valente uomo e potente nella città, chiamato Leontonio, il quale dal furioso empito degli Ateniesi il liberò, senza dubbio l’avrebbono uccìso. La quale bestiale ingiuria, il povero poeta non lasciò senza vendetta passare, perciocchè appresso questo, egli scrisse un libro il cui titolo fu De verbositate Atheniensium, nel quale egli morse fieramente i vizii degli Ateniesi, mostrando nel vulgo di quelli nulla altra cosa*Tessere che pa-