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2 COMENTO DEL BOCCACCI

cipii d’ogni nostra operazione, pietosamente e con paterna affezione ne confortano. Alla qual cosa dee ciascuno senza alcuna difficulta divenire, leggendo quello che ne scrive Platone, uomo di celestiale ingegno, nel fine del primo libro del suo Timeo, per sè dicendo: Nam cum hominibus mos sit, et quasi quaedam religio, qui vel de maximis rebus, vel de minimis aliquid acturi sunt, precari divinitatem ad auxilium; quanto nos aequjus est, qui universitatis naturae, substantiaeque rationem praestaturi sumus, invocare divinam opem, nisi plane quodam soevo furore, et implacabili raptemur amentia. E se Platone confessa, sè più che alcuno altro avere del divino aiuto bisogno, io che debbo di me presumere, conoscendo il mio intelletto tardo, lo ingegno piccolo, e la memoria labile? E spezialmente sottentrando a peso molto maggiore che a’ miei omeri si convegna, cioè a spiegare l’artificioso testo, la moltitudine delle storie, e la sublimità de’sensi, nascoso sotto il poetico velo della Commedia del nostro Dante: e massimamente ad uomini d’alto intendimento, e di mirabile perspicacità, come universalmente solete esser voi, signori Fiorentini; certo, oltre ogni considerazione umana, debbo credere abbisognarmi. Adunque, acciocchè quello che io debbo dire sia a onore e gloria del santissimo nome di Dio, e consolazione e utilità degli uditori, intendo avanti che io più oltre proceda, quanto più umilemente posso, ricorrere ad invocare il suo aiuto; molto più della sua benignità fidandomi, che d’alcuno mio merito. E imperciocchè di materia