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SOPRA DANTE 143

stella ch’è più lucente. E cominciommi a dir, questa donna, soave, e piana: nel qual modo di parlare si comprende la qualità dell’animo di colui che favella dovere essere riposata, non mossa da alcuna passione. E oltre a ciò, in questo disegna l’atto donnesco, il quale in ogni suo movimento dee essere soave e riposato: con angelica voce. Aggiugne un’altra cosa, mirabilmente opportuna nelle donne d’aver la voce piacevole, nè più sonora nè meno che alla gravità donnesca si richiede: e queste così fatte voci fra noi sono chiamate angeliche. E oltre a questo, l’attribuisce Virgilio questa voce in testimonio della beatitudine di lei: perciocchè estimar dobbiamo, alcuna cosa deforme non potere essere in alcun beato: in sua favella, cioè in fiorentino volgare, non ostante che Virgilio fosse Mantovano: ed in ciò n’ammaestra, alcuno non dovere la sua original favella lasciare per alcuna altra, dove necessita a ciò nol costrignesse. La qual cosa fu tanto all’animo de’ Romani, che essi dovechè s’andassero, o ambasciadori, o in altri oficii, mai in altro idioma che romano non parlavano; e già ordinarono, che alcuno, di che nazione si fosse, in senato non parlasse altra lingua che la romana. Per la qual cosa assai nazioni mandaron già de’ lor giovani ad imprendere quello linguaggio, acciocchè intendesser quello, e in quello sapessero e preporre e rispondere. Ma potrebbe qui muoversi un dubbio, e dirsi, come sai tu che questa donna parlasse fiorentino? A che si può rispondere, apparire in più luoghi in questo volume, Beatrice essere stata una gentildonna