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tendo che basti per universale, cioè dividersi in tante parti, quanti Canti seguiranno; perciocchè pare che ciascun Canto tratti di materia differente dagli altri. E questo Canto dividerò in sei parti. Nella prima si continua l’autore al precedente. Nella seconda, secondo il costume poetico, fa la sua invocazione. Nella terza muove l’autore a Virgilio un dubbio. Nella quarta Virgilio solve il dubbio mossogli. Nella quinta l’autore rassicuratosi, dice di seguir Virgilio. Nella sesta ed ultima l’autor mostra come appresso a Virgilio entrò in cammino. La seconda comincia quivi: O Muse, o alto ingegno. La terza quivi: Io cominciai: Poeta. La quarta quivi: Se io ho ben la tua parola. La quinta quivi: Quale i fioretti. Le sesta quivi: E poichè mosso fue. Dico adunque, che l’autore si continua alle cose precedenti; perciocchè avendo detto nella fine del precedente Canto sè esser mosso dietro a Virgilio, nel principio di questo discrive l’ora nella quale si mossero, dicendo: Lo giorno se n’andava: e questo per lo chinare del sole all’occidente: e l’aer bruno, cioè la notte sopravvegnente, la qual sempre all’occultar del sole seguita. Di che appare, null’altra cosa essere il dì, se non la stanza del sole sopra la terra; questo è quello che è così chiamato, cioè dì, dalla luce. E perciocchè al levarsi di quello sempre la notte fugge, Pronopide greco poeta, e maestro di Omero, racconta una cotal favola. E’ vogliono gli astrologi, questo chiamarsi dì artificiale, cioè quello spazio il quale si contiene tra il levare del sole e l’occultare: e la ragione è perchè essi usandolo nelle loro eleva-