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SOPRA DANTE 111

agli spirituali. Nasce adunque da questo il consiglio, il quale la ragione, che tien qui luogo della grazia cooperante, gli dà, cioè che egli per lo inferno, cioè per gli atti degli uomini terreni, li quali a rispetto de’ corpi celestiali, ci possiam reputare di essere in Inferno; e tra quegli, considerati quegli che la nostra ragione, le leggi positive, e la divina dannino, conoscerà quello da che astener si dee ciascuno che secondo virtù vuol vivere, e quello che seguendol merita pena; e qual pena secondo le leggi temporali, e secondo l’eterne; conoscerà la giustizia di Dio, e meritamente avrà timore dell’ira sua. E da questo luogo, già delle cose men che ben fatte pentendosi, venga a veder color che son contenti nel fuoco, cioè nell’afflizione della penitenza; acciocchè quindi, dietro alla guida della Teologia, le cui ragioni e dimostrazioni la nostra ragione non può comprendere, salga purgato delle offese all’eterna beatitudine. Ed in questo mi pare consista la sentenza dell’allegoria di questo primo Canto. Restaci nondimeno a vedere una parte, alla quale par che dirizzi l’animo ciascuno che il presente libro legge, e quella desidera di sapere, cioè quello che l’autore abbia voluto sentire per quel veltro, la cui nazione dice esser tra feltro e feltro. E per quello che io abbia potuto comprendere, sì per le parole dell’autore, sì per li ragionamenti intorno a questo di ciascuno il quale ha alcun sentimento, l’autore intende qui dovere essere alcuna costellazione celeste, la quale dee negli uomini generalmente imprimere la virtù della liberalità, come già è lungo tempo, e ancora