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PARTE OTTAVA 249


XVII.


O el m’ucciderà, e fieti caro;
     Ma spero pur la divina giustizia
     Rispetto avrà al mio dolore amaro,
     E similmente alla tua gran nequizia.
     O sommo Giove, in cui certo riparo
     So c’ha ragione, e da cui tutta inizia
     L’alta virtù per cui si vive e muove,
     Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

XVIII.


Che fanno le tue folgori ferventi,
     Riposan elle? O più gli occhi non tieni
     Volti a’ difetti dell’umane genti?
     O vero lume, o lucidi sereni,
     Pe’ quai s’allegran le terrene menti,
     Togliete via colei nelli cui seni
     Bugie e inganni e tradimenti sono,
     Nè più la fate degna di perdono.

XIX.


O Pandar mio, che ne’ sogni aver fede
     M’hai biasimato con cotanta istanza,
     Or puoi veder ciò che per lor si vede,
     La tua Griseida te ne fa certanza:
     Hanno gl’iddii di noi mortai mercede,
     Ed in diverse guise dimostranza
     Ci fan di quello, ch’è a noi ignoto,
     Per nostro bene spesse volte noto.