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248 IL FILOSTRATO


XIV.


Or non avevi tu altro gioiello
     Da poter dare al tuo novello amante,
     Io dico a Diomede, se non quello
     Ch’io t’avea dato con lagrime tante,
     In rimembranza di me cattivello,
     Mentre con Calcas fossi dimorante?
     Null’altro far tel fe’ se non dispetto,
     E per mostrar ben chiaro il tuo intelletto

XV.


Del tutto veggio che m’hai discacciato
     Del petto tuo, ed io contra mia voglia
     Nel mio ancora tengo effigïato
     Il tuo bel viso con noiosa doglia:
     O lasso me, che ’n malora fui nato,
     Questo pensier m’uccide e mi dispoglia
     D’ogni speranza di futura gioia,
     E cagion émmi d’angoscia e di noia.

XVI.


Tu m’hai cacciato a torto della mente,
     Laddov’io dimorar sempre credea,
     E nel mio luogo hai posto falsamente
     Diomede; ma per Venere dea
     Ti giuro, tosto ten farò dolente
     Colla mia spada alla prima mislea,
     Se egli avviene ch’io ’l possa trovare,
     Purchè con forza il possa soprastare: