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ne pare maggiore doglia quella del geloso che quella di chi ama e non è amato -.

Disse Clonico allora: O nobile reina, che è ciò che voi dite? Aperto pare che sempre siete stata amata da cui amato avete, per la qual cosa la mia pena male conoscete. Come si potrebbe mostrare che gelosia porgesse maggiore pena che quella ch’io sento, con ciò sia cosa che colui la disiderata cosa possiede, e puote, quella tenendo, prendere in una ora più diletto di lei che in un lungo tempo sentirne pena, e nientemeno da sé per esperienzia può cacciare tal gelosia, se avviene che truovi falso il suo parere? Ma io, di focoso disio acceso, quanto più mi truovo lontano ad adempierlo, tanto più ardo, e assalito da mille stimoli mi consumo; né a ciò mi può aiutare alcuna speranza, però che per le molte volte ch’io ho riprovata costei, e trovatala ognora più acerba, io vivo disperato. Per che la vostra risposta mi pare che alla verità sia contraria: che io non dubito che non sia molto meglio dubitando tenere, che piangendo disiare -.

- Quella amorosa fiamma che negli occhi ne luce e il nostro viso ognora adorna di più bellezza, come voi dite, mai non consentì che invano amassimo, ma non per tanto non ci si occulta quanta e quale sia la pena dell’uno, e quella dell’altro - rispose la reina; seguendo: e però, come la nostra risposta sia con la verità una cosa, vi mostreremo. Egli è manifesto che quella cosa che più la quiete dell’animo impedisce è la sollecitudine, delle quali alcune a lieto fine vanno, alcune a dolente fuggire intendono. Delle quali quanto più n’ha l’animo, tanto più ha affanno,