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ma certo io ho molto maggiore cagione di dolermi che tu non hai". Io allora quasi turbato mi rivolsi a lui, dicendo: "Come? Chi la può maggiore di me avere? Non ricevo io mal guiderdone per ben servire? Non sono io odiato per lealmente amare? Così come me può alcuno essere dolente, ma più no". "Certo" rispose l’amico "io ho maggiore cagione di dolermi che tu non hai, e odi come. A te non è occulto che io lungo tempo abbia una gentil donna amata e amo sì come tu fai, né mai niuna cosa fu che io credessi che a lei piacesse, che io con tutto il mio ingegno e potere non mi sia messo a farla. E certo essa di questo conoscente, di ciò che io più disiderava mi fece grazioso dono, il quale avendo io ricevuto, e ricevendo qualora mi piacea, per lunga stagione non mi parea alla mia vita avere in allegrezza pari. Solo uno stimolo avea, che io non le potea far credere quanto io perfettamente l’amava: ma di questo, sentendomi amarla com’io dicea, leggermente mi passava. Ma gl’iddii, che niuno bene mondano vogliono sanza alcuna amaritudine concedere, acciò che i celestiali siano più conosciuti, e per consequente più disiderati, a questo m’aggiunsero un altro a me sanza comparazione noioso; ch’elli avvenne che dimorando io un giorno soletto con lei in segreta parte, veggendo chi davanti a noi passava sanza essere veduti, un giovane grazioso e di piacevole aspetto passò per quella parte, il quale io vidi ch’ella riguardò e poi un pietoso sospiro gittò. La qual cosa vedendo, io dissi: "Oimè, sonvi io sì tosto rincresciuto, che per la bellezza d’altro giovane sospiriate?". Ella tornata nel viso di nuova rossezza dipinta, con molte scuse, giurando