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stato più che gli altri liberale, il quale con affanno arricchito, non dubitò di tornare nella miseria della povertà, per donare ciò che acquistato avea. Apertamente si pare che da voi è mal conosciuta la povertà, la quale ogni ricchezza trapassa se lieta viene. Tebano già forse per l’acquistate ricchezze gli pareva esser pieno d’amare e di varie sollecitudini. Egli già imaginava che a Tarolfo paresse avere mal fatto, e trattasse di ucciderlo per riavere le sue castella. Egli dimorava in paura non forse da’ suoi sudditi fosse tradito. Egli era entrato in sollecitudine del governamento delle sue terre. Egli già conoscea tutti gl’inganni apparecchiati da’ suoi parzionali di farli. Egli si vedea da molti invidiato per le sue ricchezze, egli dubitava non i ladroni occultamente quelle gli levassero. Egli era ripieno di tanti e tali e sì varii pensieri e sollecitudini, che ogni riposo era da lui fuggito. Per la qual cosa ricordandosi della preterita vita, e come sanza tante sollecitudini la menava lieta, fra sé disse: "Io disiderava d’arricchire per riposo, ma io veggo ch’elli è accrescimento di tribulazioni e di pensieri, e fuggimento di quiete". E tornando disideroso d’essere nella prima vita, quelle rendé a chi gliele avea donate. La povertà è rifiutata ricchezza, bene non conosciuto, fugatrice di stimoli, la quale fu da Diogene interamente conosciuta. Tanto basta alla povertà quanto natura richiede. Sicuro da ogni insidia vive chi con quella pazientemente s’accosta, né gli è tolto il potere a grandi onori pervenire, se virtuosamente vive come già dicemmo; e però se Tebano si levò questo stimolo da dosso, non fu liberale, ma savio. In tanto fu grazioso a Tarolfo, in quanto più tosto