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vostro marito, e di tanta grazia da mia parte ringraziarlo, e scusarglimi della follia che per adietro ho usata, accertandolo che mai per inanzi più per me tali cose non fiano trattate". Ringraziò la donna Tarolfo molto di tanta cortesia, e lieta si partì tornando al suo marito, a cui tutto per ordine disse quello che avvenuto l’era. Ma Tebano ritornato a lui, Tarolfo domandò come avvenuto gli fosse; Tarolfo gliele contò a cui Tebano disse: "Dunque per questo avrò io perduto ciò che da te mi fu promesso?". Rispose Tarolfo: "No, anzi, qualora ti piace, va, e le mie castella e i miei tesori prendi per metà, come io ti promisi, però che da te interamente servito mi tengo". Al quale Tebano rispose: "Unque agl’iddii non piaccia che io là dove il cavaliere ti fu della sua donna liberale, e tu a lui non fosti villano, che io sia meno che cortese. Oltre a tutte le cose del mondo mi piace averti servito, e voglio che ciò che in guiderdone del servigio prendere dovea, tuo si rimanga sì come mai fu": né di quello di Tarolfo volle alcuna cosa prendere. Dubitasi ora quale di costoro fosse maggiore liberalità, o quella del cavaliere che concedette alla donna l’andare a Tarolfo, o quella di Tarolfo, il quale quella donna cui egli avea sempre disiata, e per cui egli avea tanto fatto per venire a quel punto che venuto era, quando la donna venne a lui, se gli fosse piaciuto, rimandò la sopradetta donna intatta al suo marito; o quella di Tebano, il quale, abandonate le sue contrade, oramai vecchio, e venuto quivi per guadagnare i promessi doni, e affannatosi per recare a fine ciò che promesso avea, avendoli guadagnati, ogni cosa rimise, rimanendosi povero come prima -.