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Tarolfo e disse: "Sanza fallo, cavaliere, guadagnato avete l’amore mio, e io sono presta d’attenervi ciò che io vi promisi; veramente voglio una grazia, che vi piaccia tanto indugiarvi a richiedermi del vostro disio, che ’l signore mio vada a caccia o in altra parte fuori della città, acciò che più salvamente e sanza dubitanza alcuna possiate prendere vostro diletto". Piacque a Tarolfo, e lasciandole il giardino, quasi contento da lei si partì. Questo giardino fu a tutti i paesani manifesto, avvegna che niuno non sapesse, se non dopo molto tempo, come venuto si fosse. Ma la gentil donna, che ricevuto l’avea, dolente di quello si partì, tornando nella sua camera piena di noiosa malinconia. E pensando in qual maniera tornare potesse adietro ciò che promesso avea, e non trovando licita scusa, in più dolore cresceva. La quale vedendo il marito più volte, si cominciò molto a maravigliare e a domandarla che cosa ella avesse: la donna dicea che niente avea, vergognandosi di scoprire al marito la fatta promissione per lo dimandato dono, dubitando non il marito malvagia la tenesse. Ultimamente non potendosi ella a’ continui stimoli del marito, che pur la cagione della sua malinconia disiderava di sapere, tenersi, dal principio infino alla fine gli narrò perché dolente dimorava. La qual cosa udendo il cavaliere lungamente pensò, e conoscendo nel pensiero la purità della donna, così le disse: "Va, e copertamente serva il tuo giuramento, e a Tarolfo ciò che tu promettesti liberamente attieni: egli l’ha ragionevolmente e con grande affanno guadagnato". Cominciò la donna a piangere e a dire: "Facciano gl’iddii da me lontano cotal fallo; in niuna maniera io