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dolere altrui de’ beni del prossimo, e per consequente disiderare la sua ruina: e di quella, s’avviene, far lieto altrui. Oh, che iniqua letizia è questa, e quanto da fuggire, con ciò sia cosa che le vie della fortuna sieno molte e varie, e strabocchevoli i suoi movimenti! Tale rise già degli altrui danni, che de’ suoi dopo picciol tempo pianse, e funne riso. Dolersi con giusto animo delle altrui calamità non fu mai male. Rallegrati adunque degli altrui beni, e di quelli che tu possiedi ringrazia Iddio. E l’avarizia, divoratrice e insaziabile male, del tutto da te fa che lontana sia: più che tu abbia non t’è di necessità disiare. I termini del tuo regno gran circuito occupano, i quali, se tu me ne crederai, d’ampliarli non entrerai in sollecitudine: spesse volte, per avere l’uomo più che si convegna, quello che convenevolemente avea, ha perduto. Né ti metta costei in disiderio di ragunar tesori, i quali amara sollecitudine sono dell’uomo, e per quelli multiplicare in alto monte, far fare forze a quelli i quali più tosto per la loro vita poter governare ne bisognerebbono, che esser loro tolti quelli che hanno. Dispettevole cosa è nel prencipe l’avarizia, la quale ove dimora conviene che giustizia se ne parta. Grandi furono i miei tesori, né quelli vivendo ho spesi, né ora morendo mi possono un’ora di vita accrescere né seguirmi. Sii adunque liberale, e con retto giudicio e onesto volere liberamente dona, e quelli co’ tuoi suggetti, non dimenticando gl’indigenti, godi: e guardati non forse tanto liberale essere disideri, che tu in prodigalità cadessi, la quale a non meno mali altrui conduce che l’avarizia. Guardati similemente che l’animo accidia non