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avermi perduto. Oimè, quanto amara mi pare la tua partenza! Or fosse piacere di Dio che la morte teco m’avesse tratto! Io ne venia contento sì come colui che della sua Biancifiore ha avuto il suo disio ritrovandola, e poi la santa fede prendendo è da ogni sozzura lavato. Appresso con così fatto compagno, partendomi di questa vita, non crederia potere esser passato se non a più felice. Ora io credo che tu in lieta vita dimori, e Iddio nel mondo grazia mirabile ti concedeo, faccendoti tanti anni vivere che alla vera conoscenza tornassi: per che da sperare è che nel secolo ove tu dimori da lui similemente abbi ricevuta grazia, la quale se così hai com’io credo, ti priego che per me dinanzi al tuo e al mio Fattore impetri grazia, che mi lasci, mentre io vivo, nel suo servigio divotamente vivere, e quando a passare di questa vita vengo, costà su mi chiami, ov’io spero che grazioso luogo mi serberai, acciò che, com’io qua giù nella mortale vita sempre fui caro teco, così nella etterna carissimo teco dimori -.

Queste parole dette, Florio, asciutti i lagrimosi occhi, uscì della camera ove stava, e con onore grandissimo in Laterano fece sepellire il morto corpo, il quale Biancifiore, sanza prendere alcuna consolazione, più giorni pianse, dicendo sé mai altro padre di lui non avere conosciuto, e il simigliante Glorizia, la quale molto l’amava; il duca Ferramonte ancora, e Messaallino e Parmenione e gli altri, non era chi potesse riconfortare. E certo Mennilio e Quintilio e le loro donne, di ciò dolenti, assai il fecero molto onorare alla sepoltura.

Essendo la gran festa della tornata di Florio e di Biancifiore lungamente