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me, anzi davanti hai tentate pestilenziose cose, e da non dire, per farmi sicuro il passare. E se Achille animosamente la morte di Patrocolo, con cui egli era sempre vivuto amico, vendicò, tu più robustamente operasti, faccendo sì con la tua forza che io non fossi morto. E se Niso, morto Eurialo, volle con lui morire, potendo campare, in ciò singulare segno d’amore verso lui mostrando, e tu similemente potendo te salvare, vedendo me nel mortale pericolo, a morire meco, se io fossi morto, eri disposto, e io l’udiva. E chi dubita che tu ancora, con isperanza che io mai non fossi tornato, non fossi per lo mio capo entrato, come Fizia per Damone entrò, del suo tornare, per la stretta amistà, sicuro? Oimè, che singulare amico ho perduto! Tu quanto più l’avversità m’infestava, tanto più a’ miei beni eri sollecito. Niuna cosa celavi tu tanto che essa a me non fosse aperta, e molte cose al mio petto fidatamente davi a tenere coperte, e tu similemente eri colui a cui io tutti i miei segreti fidava, però che, tu dolce amico, non eri di quelli che così vanno con l’amico, come l’ombra con colui cui il sole fiere, tra’ quali se alcuna nube si oppone che privi la luce, con quella insieme fugge. Tu così nell’un tempo come nell’altro, sempre fosti equale. O nobile compagno, il quale mai la tua volontà dalla mia non partisti, ove pari a te il ritroverò? O discreto maestro, e a me più che padre, i cui ammaestramenti seguirò io? Sotto cui fidanza viverò io omai sicuro? Certo io non so chi mi fia fido duca negli ignoti passi. A cui per consiglio ricorrerò? Non so! Chi mi ripresenterà al mio padre, il quale, sentendo te meco, di rivedermi vive sicuro? Certo s’egli la tua morte sapesse, egli si crederia