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il romore e chi ’l facesse. A’ quali Fileno rispose sé molte volte simili romori avere uditi, ma per che fatti fossero del tutto ignorava. Allora sì come a Filocolo piacque, il duca Ferramonte e Messaallino, sopra forti cavalli, armati e accompagnati da molti de’ servidori, andarono per conoscere la cagione di tanto romore, e usciti del folto bosco videro nel piano, alla riva del picciolo fiume, dall’una parte e dall’altra, molta gente rustica nel sembiante, a’ quali non tenda, non padiglione era, ma tagliati rami dava loro le disiate ombre; né alcuno v’era di cappello d’acciaio o d’elmo che rilucesse, né alcuno cavallo facea fremire il povero campo, né tromba risonare, ma rozzi corni movea la disordinata gente a’ suoi mali; e quasi la maggior parte delle loro arme erano bastoni, e poche spade teneano occupati i loro lati, le quali poche non aveano forza di piegare i solari raggi in altra parte, che dove il sole gli mandava. I loro scudi erano ad alcuni le dure scorze del morbido ciriegio, e altri si copriano di quelle della robusta quercia, e alcuni, forse più nobili, gli aveano, ma sì affumicati, che in essi niun’altra cosa che nera si vedea. In luogo di balestra usavano rombole, e i loro quadrelli erano ritondi ciottoli; le loro lance si prendeano da’ fronduti canneti. Archi erano loro assai, le cui saette in luogo di ferro erano apuntate col coltello, né era loro bandiera alcuna, fuori che una di tela assai vile, la quale mezza bianca e mezza vermiglia si mostrava al vento, credo più tosto di pecorino sangue tinta che di colore; e simigliante l’avversa parte l’avea di tanto diversa, che all’una era il bianco di sopra e all’altra di sotto; e di dietro