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io credo, le avversità non danno a chi le riceve dell’amico oblianza; ma dimmi, se non t’è grave, qual via sia a’ tuoi beni più utile, acciò che io per quella correndo ti riduca nel pristino stato -. A cui Fileno: Oimè, quanto lontano a quella ti sento! Una sola cosa mi manca, la quale avendo viverei contento, e quella è la grazia del signor mio Florio, figliuolo dell’alto re Felice, a cui già ti conobbi compagno: gl’iddii me ne sieno testimonii che fedelmente l’amai e amo! E’ non è lungo tempo passato che i miei dolori multiplicarono, sentendo io da un giovine, di Marmorina vicino, che quinci passò, com’egli avea la sua bella Biancifiore perduta, e pellegrinando con dolore la ricercava: e se quella riavessi, certo io conosco gl’iddii sì misericordiosi, ch’essi mi renderieno la perduta forma. Dunque, sola quella mi procaccia con valevoli prieghi, quella mi racquista se me vuoi trarre d’affanno. E se tu, o giovane, disideri forse di sapere perché io la perdessi, io tel dirò. Certo io non sacrilegio, non tradimento, non omicidio, non ribellione commisi, perché giustamente movessi il mio signore ad ira, ma come giovane amai: e cui? Non sua nimica, ma quella giovane che lui sopra tutte le cose del mondo amava: io dico di Biancifiore, la cui bellezza quanti la vedeano tanti ne innamorava. E certo io ignorava che egli lei amasse, ché se saputo l’avessi, ben che il cuore dell’amore di lei portassi feruto, con forza mi sarei infinto di non amarla. E ben che io pur molto l’amassi, guastava però il mio amore la sua fermezza, la quale si dice che mai per alcuno accidente non mutò cuore? Certo no! E se io il bel velo ebbi, il quale col mio non