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che tutto giorno impuniti veggiamo, sanza punizione non passerieno. Similemente se le bellezze loro le nostre avanzassero, contenti ne’ loro termini non quelle per le mondane abandonerebbero, come molte volte hanno fatto e fanno. Se sì providi fossero come si tengono, non agl’ingegni delle semplici giovani si lascerebbono ingannare , né quelle con ingegni ingannerebbono. Se forti, perché in toro mutarsi per ingannare Europa? Se belli, perché in oro per ingannare Danne? Se savi, perché non provedere all’impromessa fatta all’amata Semelè? Niuna di queste cose è in loro, e voi le due avete mostrate, e io mostrerò la terza. Io non meno bella d’Alcitoe, amata da molti e poi da Febo, con discreto stile amando, mai ad alcuno il mio cuore non patefeci, ma per non disciogliere da’ miei legami alcuno, quelli che tal volta più m’erano in odio con più lusinghevole occhio li riguardava. Del numero de’ quali Febo, proveditore de’ futuri accidenti, fu. Oh, quante volte egli, per più lungo spazio potermi vedere, con lento passo menò i suoi cavalli per mezzo il cielo, e ritennegli alcuna volta con adirata mano, affrettandosi essi come erano usati d’andare all’onde di Speria, e spesso, non avendo ancora loro rimessi i freni, a quelli medesimi si crucciò, volonteroso di cercare l’aurora prima che ’l convenevole! Oh, quante volte si dolfero con lamentevoli voci le Notti a Giove, dicendo che la ragione del loro spazio Febo l’occupava! E’ mi ricorda ancora che tanto fu un giorno il diletto che di mirarmi prendea, che egli ebbe presso che smarrito l’usato cammino. E se non fosse il romore di Cinosura, che, vedendolo di lontano, temeo le