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pose tutte. Egli di quelle medesime aspro difenditore divenne contra gl’invidi parlatori. Egli, occulto pellegrino d’amore, in modo incredibile cercò quello che io poi gli donai, e ultimamente divenuto d’ardire più copioso ch’alcuno altro che mai mi amasse, s’ingegnò di prendere, e prese, quello ch’io con sembianti gli volea negare. Mentre che questi dilettandomi mi tenea, non però mancò l’amore suo verso di me, ma sempre crebbe: le quali cose tutte io, fermissima resistente a Cupidine, non guardai, ma sì come d’altri alcuni avea fatto, così di lui feci gittandolo del mio seno. Questa cosa fatta, la costui letizia si rivolse in pianto. E brievemente egli in poco tempo di tanta pieta il suo viso dipinse, che egli a compassione di sé movea i più ignoti. Egli mi si mostrava, e con prieghi e con lagrime, tanto umile quanto più poteva, la mia grazia ricercava, la quale acciò ch’io gliele rendessi, Venere più volte si faticò pregandomi e talora spaventandomi e in sonni e in vigilie. Ma ciò non mi poté mai muovere: per che rimanendo perdente, il giovane, che si consumava, trasmutò in pino, e ancora alle sue lagrime non ha posto fine; ma per la bellezza ch’io posseggo, io prima dove l’albero dimora non andrò che io in dispetto di Venere farò più inanzi al dolente albero sentire la mia durezza, ch’io con le taglienti scuri prima il pedale, poi ciascun ramo farò tagliare e mettere nell’ardenti fiamme. Ben potete avere per le mie parole compreso quanta sia la potenza di Venere, la quale non de’ minori iddii, ma nel numero de’ maggiori è scritta, e per consequente possiamo di ciascun altro pensare: e però se non possono, non deono