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uno e dell’altro meritassero il cielo, e qual parte d’esso; e dove il primo Cavallo e l’altro intero, e la Nave che prima solcò il non usato mare dimorassero, dimostrò; e segnò la gloria di Perseo, e ’l suo luogo, con la testa d’Algol e dell’Idra, crescente per li suoi danni, e il luogo del Vaso. E rimembromi che disse ancora del Centauro e del celestial Lupo le stelle, di dietro a’ quali del Pesce e dello Alare i luoghi dimostrò, con quelli di Cefeo, e del Triangolo, e di Ceto, e d’Andromaca, e del pagaseo Cavallo; passando dietro a questi dentro alle regioni degl’iddii con più sottile canto col suo suono. Queste cose ascoltai io con somma diligenza, e tanto dilettarono la rozza mente, ch’io mi diedi a voler conoscere quelle, e non come arabo, ma seguendo con istudio il dimostrante: per la qual cosa di divenire esperto meritai. E già abandonata la pastorale via, del tutto a seguitar Pallade mi disposi, le cui sottili vie ad imaginare, questo bosco mi prestò agevoli introducimenti, per la sua solitudine. Nel quale dimorando, m’avvidi lui essere alcuna stagione dell’anno, e massimamente quando Ariete in sé Delfico riceve, visitato da donne, le quali più volte, lente andando, io con lento passo le seguitai, di ciò agli occhi porgendo grazioso diletto, continuamente i dardi di Cupido fuggendo, temendo non forse, ferito per quelli, in detrimento di me aumentassi i giorni miei: e disposto a fuggire quelli, prima alla cetera d’Orfeo, poi ad essere arciere mi diedi, e prima con la paura del mio arco, del numero delle belle donne, le quali già per lunga usanza tutte conoscea, una bianca colomba levai, e fra’ giovani albuscelli seguii con le mie saette più tempo, vago delle sue piume. Né per non poterla